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Ritorno in Peloponneso

Due anni fa avevamo passato l’inverno girando le coste del Peloponneso in ogni direzione. Tornarci, questa volta senza lockdown, mascherine e coprifuoco, ci ha emozionati e accesi di anticipazione. Il tempo si è fatto decisamente più freddo e piovoso, situazione che la gente di qui attendeva con ansia per rifornire le riserve di acqua per la prossima estate. Prima di passare il canale di Corinto, la porta d’entrata del Peloponneso, abbiamo fatto tappa a Loutraki. “Loutra” in greco significa “terme” e proprio quelle stavamo cercando: metterci a mollo nell’acqua calda, con sauna e bagno turco in aggiunta. Non siamo stati delusi: fin dai tempi antichi la gente si recava a Loutraki per le sue curative acque termali cariche di sali minerali, ora presenti in una moderna spa aperta al pubblico. L’esperienza ci è piaciuta così tanto, che ci siamo tornati una seconda volta, rilassandoci per due giorni consecutivi.

Salutata Loutraki, abbiamo raggiunto Micene, sistemando Rocco accanto a un ristorante abbandonato, dove erano già stazionati due camper francesi: due famigliole con le loro quattro bambine. Ci siamo presentati e siamo stati subito invitati alla “festicciola” che avrebbe avuto luogo proprio nel salone del ristorante. Quella sera abbiamo passato un bel momento festoso davanti al fuoco acceso nel camino del salone, con le bambine che correvano dappertutto, eccitate dalle fiamme e dall’idea di fare festa. La mattina dopo, siamo andati in visita al sito archeologico, accompagnati da un caldo sole totalmente inatteso.

L’altura su cui si trovava l’antica città dominava una vasta pianura, dove spiccava la città di Argos. Erano i tempi in cui la civiltà micenea aveva costruito una fitta rete di relazioni commerciali e culturali tra le varie città-regno, con una vasta diffusione di strade e di porti, condividendo le sue risorse con quelle dei popoli delle isole e del Nord Africa, primi tra tutti gli antichi Egizi e i Minoici di Creta. La comunità micenea si estinse in seguito agli attacchi dei popoli del Nord e dei pirati, che distrussero i porti. L’antica città possiede ancor oggi, 3000 anni dopo, un grande fascino. Vi si riconoscono le fondamenta del palazzo reale, dei quartieri degli artigiani, i magazzini, le abitazioni caratterizzate da stanze di piccole dimensioni, i templi e i luoghi per gli spettacoli religiosi e sportivi, le mura e le possenti fortificazioni. Gli oggetti venuti alla luce negli scavi sono stati trasferiti in gran parte al museo nazionale di Atene e nei musei britannici, tuttavia quelli rimasti nel piccolo museo di Micene testimoniano l’eccellenza di quelle genti e la prosperità pacifica che erano riusciti a costruire.

Come già per i Minoici a Creta, anche questa volta ci siamo fatti rapire dall’atmosfera e dall’ammirazione. I riti funerari rivestivano sicuramente un ruolo molto importante, dato che le tombe dei re, tra cui spiccava quella di Agamennone, erano imponenti edifici cilindrici scavati nei fianchi delle colline, a cui si accedeva attraverso un ampio passaggio tra due pareti di grandi blocchi di pietra squadrata, e sormontati da tetti a ogiva alti oltre 15 metri. Dopo migliaia di anni e successivi saccheggi, quegli edifici riescono ancora a trasmettere potenza e solennità. La storia di Micene è un vero e proprio tuffo nella mitologia, in cui echeggiano i nomi di Perseo, Agamennone, Clitemnestra, Egisto, degli Atreidi e di molti altri ancora, la cui vicende si intrecciano nelle narrazioni che sono state tramandate e che fondano buona parte della classica cultura greca e occidentale.

Ancora avvolti nei veli della Storia, siamo scesi più a sud, e precisamente a Nafplio, una cittadina che ci era piaciuta molto nelle nostre scorribande di due anni fa. Nonostante il maltempo e la calma della stagione invernale, l’impressione si è confermata. Il posto è vivace e molto interessante, con i quartieri della città vecchia tirati a lustro e pieni di piccole boutiques di moda, arte e artigianato, una zona che gravita attorno alla vecchia stazione ferroviaria, l’area portuale e la città nuova che si estende verso l’entroterra.

Nafplio ha tutte le caratteristiche di un centro turistico, con hotel, bar, ristoranti, chioschi e gelaterie, molti ora chiusi per la stagione invernale o per lavori di rinnovo. I due anni di chiusura forzata per il Covid hanno lasciato il loro segno: qui e là spiccavano vetrine spente e abbandonate e i cartelli che indicavano “affittasi” o “vendesi”.

Sulla collina a picco sul centro abitato troneggia un’imponente fortezza, risalente ai tempi dell’occupazione della Repubblica di Venezia. Un’altra si trova sull’altura che si estende nel mare con un promontorio, ai cui piedi si snoda la città vecchia. Anche Nafplio, come moltissimi altre località greche, ha una storia di infinite guerre e battaglie, dai tempi dei Micenei fino ad arrivare alla II Guerra Mondiale e, naturalmente, anche di innumerevoli eroi ed eroine ricordati nei nomi delle vie o con statue e monumenti nelle piazze. Ci ha colpiti in particolare la storia di Bouboulina, una storia così piena di avventure e vicissitudini, nell’arco di tempo tutto sommato limitato dei suoi 54 anni di vita, da meritarsi un articolo a sé.

L’indomani di una giornata molto piovosa, passata in camper, abbiamo fatto una puntata al grande teatro antico di Epidauro, distante poco più di venti chilometri. Due anni fa era chiuso al pubblico, ma questa volta non volevamo perderci una visita a un luogo così rinomato. Il teatro faceva parte di un grande insediamento, completato da uno stadio per le gare sportive, un centro di cura e divinazione dedicato ad Esculapio e da diversi templi, edifici, fontane e dormitori per gli ospiti, gi atleti e i malati. Si trattava di un importante luogo per le cure, le cerimonie religiose, le celebrazioni, gli spettacoli e le prove atletiche.

Il teatro ci ha mozzato il fiato. Le sue imponenti gradinate circolari, inclinate verso il palco, potevano contenere fino a dodicimila spettatori. Per quell’epoca, si trattava di una folla enorme, se si pensa che essa era costituita unicamente dai “cittadini”, escludendo così servi, contadini e schiavi. Là intorno dovevano ergersi grandi accampamenti, con ampi spazi per i carri e gli animali. La struttura è stata ricavata dal fianco di una collina ed è tuttora ben conservata, dopo quasi 2500 anni. Al centro, uno spazio circolare di oltre venti metri di diametro costituiva la vera e propria scena. Il centro del cerchio è segnato da una pietra e da quel punto è possibile essere uditi con chiarezza fino alla fila più distante dei posti a sedere. Potevamo immaginare gli spettacoli e le cerimonie dell’epoca, senza alcuna amplificazione: il pubblico doveva sicuramente mantenere un silenzio assoluto nei momenti più intensi di declamazione, per poi erompere nelle acclamazioni e nella catarsi liberatoria delle emozioni suscitate in scena. Una coppia di turisti asiatici aveva preso in ostaggio proprio il punto centrale, facendo prove acustiche in ogni direzione. Era uno spasso notare l’irritazione degli altri turisti, in impaziente attesa di potersi mettere proprio su quella pietra per le foto di rito.

D’un tratto, il sole che ci accompagnava si è velato e la pioggia ci ha sorpresi nel bel mezzo del nostro giro tra i resti dell’insediamento. Abbiamo così deciso di riprendere il camper per scendere ancora più a sud, in Laconia, dove ci attendono i nostri amici greci, conosciuti due anni fa.

In chiusura, una piccola nota curiosa. La cittadina di Nafplio viene chiamata con diversi nomi, dovuti alle traslitterazioni dal greco e alle varie occupazioni che si sono succedute: Nafplio, Nauplia e, sorprendentemente, anche Napoli di Romania.

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