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News da Belgrado – Primavera di Luce

News da Belgrado

Sono tornata da mio papà il 17 di febbraio, dopo aver passato una meravigliosa settimana a Malaga con Franceso e Numi. In quella settimana, le condizioni di salute di mio padre sono peggiorate assai e ho quindi deciso di tornare in Serbia per stare con lui fino alla fine dei suoi giorni. Avevo lasciato un papà ancora in grado di muoversi (nei limiti della sua malattia) e una settimana dopo ho ritrovato un vecchietto rannicchiato nel suo letto, bisognoso di ancora più cure e assistenza.   

Nel frattempo, Mira, la compagna di mio padre, ha organizzato una simpatica badante piena di energia, e ora siamo in tre a occuparci di lui: Verka, Mira ed io. Molti mi chiedono se non è particolarmente arduo sostenere una persona invalida in tutte le varie attività del quotidiano. Certo, fisicamente è faticoso: mio padre non avendo più la possibilità di muovere le gambe e, in generale la parte sinistra del corpo, va alzato, sostenuto, girato, lavato, vestito, tutte azioni che richiedono una certa forza fisica. Con il tempo abbiamo trovato i gesti giusti e ora siamo così brave da poterli mettere in pratica da sole. La parte più interessante però, risiede nei momenti di non-azione, i lunghi momenti in cui sorgono quelli che io chiamo i piccoli miracoli del quotidiano: un sorriso inaspettato, un dialogo imprevedibile, la comicità di un attimo, piccoli miglioramenti rispetto a ieri, a settimana scorsa. Molti sono gli attimi teneri e ludici che passiamo insieme, anche perché tra Petar e noi tre si è creata una bella complicità e ci ritroviamo spesso a ridere di gusto per una goffaggine del momento o una battuta spontanea.

Verka mi ha insegnato a lavorare a maglia e passo le ore in cui mio padre dorme a sferruzzare allegramente. Il mio primo progetto è un gilet color blu petrolio. Ho assunto il ruolo di una donna di altri tempi: non esco quasi mai di casa e passo il tempo tra la cucina e la camera da letto di mio padre. Senza dimenticare di andare avanti con la realizzazione del mio primissimo gilet.

Le occasioni per uscire fuori sono poche, ma ogni tanto capitano anche quelle. Esco e vado in ricerca di tutti gli indizi ancora presenti che fanno riferimento alla Jugoslavia di una volta. Si trovano nell’architettura di certi edifici di quell’epoca, in alcuni oggetti non ancora divorati dalla globalizzazione (un cestino dei rifiuti, un monumento, un’auto d’epoca) e in luoghi dimenticati non ancora entrati nel mirino del “progresso”. Molto raramente balza all’occhio un uomo o una donna in là con gli anni, rimasti insensibili alla modernizzazione. Sono apparenze fuori dal tempo, come congelate in un’epoca ormai passata.

Ieri sera mi sono addirittura concessa qualche ora di libera uscita e sono andata alla neo costituita Veganoteka in un quartiere molto distante. Malgrado il fatto che il programma della serata fosse piuttosto vago e che nevicasse intensamente, mi sono detta che era l’occasione giusta per conoscere qualche personaggio interessante, determinato come me a non lasciarsi condizionare dal freddo. Sono arrivata e ho trovato un locale non meglio specificato con dentro tre maschi alle prese con gli strascichi di quella che doveva essere stata una festa di tutto rispetto: bottiglie, resti di cibo, disordine dappertutto. Erano le sei meno dieci e la serata sarebbe iniziata alle sei… mi sono quindi indaffarata insieme a loro e 15 minuti più tardi il luogo aveva un aspetto decisamente più invitante. Ho scoperto di trovarmi in una mini casa editrice (neopress publishing), il cui responsabile pubblica unicamente libri sulla salute e sulla crescita personale che considera particolarmente meritevoli. È il suo personale contributo al benessere collettivo. In tutto e per tutto sono arrivate una decina di persone e la serata si è svolta in un contesto gioiosamente incasinato, molto vivace e simpatico. Dopo aver parlato di svariati temi, aver guardato un video e aver ascoltato la testimonianza di un naturopata alle prese con un digiuno ad acqua in atto da tre settimane, la serata si è conclusa con un mini buffet vegano sfociato in mini festicciola. Anche questa spontaneità nei rapporti con l’altro è un rimasuglio della Jugoslavia di altri tempi. Sono tornata a casa rifocillata, ricaricata e molto felice per aver conosciuto gente nuova.

Goran, Milan, Ana e gli altri mi hanno già proposto di parlare della mia vita in camper alla prossima serata della Veganoteka, tra un mese. Non ho promesso niente. Vivo alla giornata e non riesco a proiettarmi così in là nel tempo. Chissà quanti piccoli miracoli capiteranno ancora e dove sarò tra un mese!

 

Primavera di luce

Questo è il nome che Emmeli ha dato alla sua tenuta circondata da un ettaro di alberi da frutta tropicale a mezza costa sulle colline di Almayate Alto, a est di Malaga. Una finca che mi ha nuovamente accolto a braccia aperte, dopo la partenza di Nat per Belgrado. Ad attendermi c’era un lavoro che avevo lasciato in sospeso: la costruzione di una tettoia in ferro e alluminio, ricavata da resti di materiale riciclato. Ed anche Emmeli, impaziente di ricevere i miei trattamenti.

Avevo accettato di occuparmi della piccola struttura e immaginavo una soluzione semplice e leggera, legno e lastra di policarbonato, ma i materiali a disposizione erano tutt’altro: profilati di ferro e una vecchia porta in alluminio e vetro, pesantissima, da usare come copertura.

Mi sono impegnato nell’impresa fin da subito, solo e senza particolare esperienza.

Le operazioni si sono rivelate fin dall’inizio molto lente e piene di dettagli apparentemente minori, bruciando velocemente il tempo a disposizione. Date le sue precarie condizioni di salute, Emmeli si limitava a dare indicazioni senza poter fornire un aiuto concreto, nemmeno per trovare gli attrezzi e i pezzi necessari nei vari magazzini, zeppi di materiale accumulato in vent’anni. Ha così cambiato idea per ben tre volte sulle possibili varianti che avrebbe voluto, facendo ripartire il lavoro da zero.

Mentre mi sforzavo a forare il ferro con vecchie punte di trapano consumate e lentissime a scavare, ho iniziato a inveire e ad arrabbiarmi. E più lo facevo, più mi sentivo demotivato e frustrato. Ogni ambito del “Manantial de Luz” mi pareva negativo e più inveivo, più commettevo errori. Ero combattuto tra la voglia di veder terminato il lavoro e di poter dire “l’ho fatto io!” e la frustrazione di dover ricominciare più volte, con la scarsezza di materiale e attrezzatura a disposizione.

Finalmente mi sono rilassato e ho iniziato a concentrarmi su una cosa alla volta, cercando di farla al meglio, senza più preoccuparmi del tempo, delle aspettative o dei risultati. A ogni passo usciva un dettaglio nuovo da risolvere, una difficoltà imprevista, un pezzo mancante, un errore. La percezione della situazione era però cambiata: mi sembravano piccoli passi normali, il mio umore restava indisturbato e anche i rapporti con Emmeline rimanevano positivi e cordiali.

E così, passo dopo passo, è arrivato il momento tanto atteso: la struttura era finalmente pronta al montaggio. Le grosse viti sono entrate bene, fino alla metà del loro percorso. A quel punto, nel cemento si sono formate delle crepe e tutto l’angolo di supporto si è staccato dal muro.

Non ci potevo credere! Cos’era successo? Una stupidaggine, in realtà: il cemento era vecchio e non aveva più forza legante. Era necessario ripartire da capo. Non mi è rimasto altro da fare che pulire bene la zona, riporre tutti gli attrezzi, lavare i miei abiti da lavoro e farmi una bella e lunga doccia calda e rilassante.

Il mattino seguente, ho incontrato Emmeline per gli ultimi saluti e per la riconsegna delle chiavi. Il mio soggiorno a “Manantial de Luz” era terminato. Abbiamo riso di gusto per le innumerevoli vicissitudini e complicanze, finendo per dirci che tutti quegli intoppi indicavano sicuramente qualcosa e che forse tutta l’idea della tettoia andava riconsiderata. Del resto spesso le difficoltà si manifestano proprio per stimolare pensieri diversi e la ricerca di nuove idee.

E così, dopo gli abbracci e gli auguri di buona fortuna, Numi e io abbiamo ripreso la strada con Rocco, che nei giorni precedenti avevo finalmente ben lavato e fatto risistemare in officina.

La nostra nuova meta si chiama Harmony Beach, una casa proprio in riva al mare a El Morche. A quanto pare, la zona è reputata per il miglior clima d’Europa. Lo spero proprio, dal momento che le previsioni metereologiche per i prossimi giorni annunciano correnti di aria fredda da nord, nuvolosità e pioggia. Sarà un buon luogo per aspettare di poter riabbracciare Nat.

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