posti e persone

Maxola’s dream

Partiti da Dhërmi, rinvigoriti, riposati e puliti, abbiamo conquistato con molta lentezza la montagna che la sovrasta. Sul culmine, a 1100 m, abbiamo fatto tappa sul belvedere, per far raffreddare un poco il motore di Rocco, messo a dura prova dalla lunga e ripida salita. Siamo arrivati giusto in tempo per assistere alla partenza in parapendio di un coraggioso ragazzo, in tandem con il suo istruttore. Dopo una breve corsetta a quattro gambe giù per il monte, la vela multicolore si è spiegata e si è portata via i due, stagliandosi sul verde della montagna e l’azzurro del mare, ruotando lenta con il vento. Lungo la discesa, abbiamo fatto tappa all’agriturismo Dukat, dove un gruppo di solerti giovani camerieri ci ha servito un ottimo pranzo all’aperto, tra i pini. Tutta quella parte di strada tra i boschi era costellata di terrazze di ristoranti all’aperto e di bancarelle di venditori di miele ed erbe curative. Il traffico era notevole quel giorno, trattandosi del sabato della Pasqua ortodossa. Al termine della lunga discesa, abbiamo raggiunto Orikum. I nostri nuovi amici Kyle e Shawn ci avevano consigliato di far tappa al Maxola’s Dream Hotel and Restaurant, per incontrare il loro prezioso amico Papi, il proprietario del luogo.

L’entrata al paese era poco invogliante, con un’ammucchiata eterogenea di condomini di edilizia popolare lungo la statale. Non riuscivamo a immaginare dove potesse trovarsi l’hotel, ma dopo un paio di giri tra le case, abbiamo imboccato Rruga Pashalimani, la strada che corre lungo la costa e lì siamo arrivati al posto indicato.

Non appena saliti sulla terrazza a pergolato del ristorante, siamo stati accolti a braccia aperte: c’erano Papi, sua sorella Lina, la moglie Anna e la loro figlia Jasmine. Papi è effettivamente un personaggio: originario della zona di confine con la Grecia, mostra molti dei tratti caratteristici dei maschi greci che avevamo conosciuto: un bel sorriso e modi accoglienti, così come una spiccata predilezione per le chiacchiere sulla filosofia della vita. Subito abbiamo parlato del progetto di Kyle e Shawn e di un sacco di altre cose, di noi, del nostro viaggio, dell’hotel e degli usi e costumi albanesi. Ci ha messo sul tavolo una piccola botticella di rakia, da cui servirci liberamente per fargli compagnia, e abbiamo indovinato così la sua passione per l’alcol, oltre al buon cibo.

Il mare, sotto di noi, aveva un colore dai toni turchese e blu profondo e Papi ci ha spiegato che si trattava ancora del Mar Ionio, dato che l’Adriatico, con le sue caratteristiche spiagge sabbiose e le acque meno cristalline, iniziava solo dopo Valona.

Incuriositi dal nome del posto, abbiamo scoperto che il nome Maxola è stato dato in onore di Sandro Mazzola, giocatore dell’Inter e della Nazionale durante gli anni ’60. Che interessante coincidenza esser capitati lì proprio in occasione dello scudetto conquistato dall’Inter dopo molti anni!

Abbiamo sistemato Rocco lungo la strada, nei pressi del ristorante e l’abbiamo proseguita a piedi, fino a fermarci di fronte a un cancello con il segnale di Zona militare – entrata vietata. Proprio a fianco, un altro cartello mostrava che all’interno della base si trovava un importante sito archeologico, risalente al 5° secolo a.C. Il militare di guardia ci ha informato che solo l’indomani, domenica di Pasqua ortodossa, ci sarebbe stato l’addetto per venderci un biglietto e accompagnarci al sito.

Sul cartello erano indicate altre cose interessanti proprie della zona, come una laguna ricca di uccelli variopinti, oasi naturale protetta, e una chiesetta ortodossa ai piedi della montagna al di là dei canneti, a qualche chilometro di distanza.

La domenica mattina, freschi e pimpanti, ci siamo ripresentati al cancello della base militare, dove un gruppetto di soldati stava controllando le macchine che entravano. Abbiamo riformulato il nostro intento e uno di loro ci ha informati che l’addetto non era ancora arrivato. Lì attorno si trovavano anche alcuni uomini in civile e uno di loro si è staccato dal gruppo e con un italiano molto comprensibile ci ha raccontato di essere un autista della base, ma anche di quanto difficile fosse diventata la vita in Albania, con i loro salari molto modesti. Ci ha consigliato di andare a bere un caffè nei dintorni e di tornare poco dopo. Abbiamo scelto uno dei tanti baretti sul lungomare per gustarci un caffè turco, rigorosamente doppio e senza zucchero, e siamo incappati in Bershim, giovane albanese dall’italiano impeccabile, col quale ci siamo fatti una lunga chiacchierata sul senso della famiglia e su come gli albanesi (non) applicano le misure anticovid. In sintesi, Bershim ci ha spiegato che in Albania la famiglia è l’istituzione più importante di tutte. Ogni problema viene risolto all’interno di essa, senza fare affidamento allo stato o alla religione. Per questo, ogni regolamento, legge o norma che interferisca con il bene della famiglia, semplicemente viene ignorato, costi quello che costi. È stato un momento molto istruttivo, che ci ha confrontati con un sistema di valori molto diverso dal nostro.

Ci siamo quindi presentati al cancello per la terza volta, e questa volta l’addetto c’era. Si trattava di un giovane che ci ha esortati a prendere la nostra macchina, dato che non era previsto l’ingresso a piedi. Siamo quindi tornati con Rocco e, finalmente, dopo aver acquistato il biglietto per 300 lek (ca. 2.50 CHF), abbiamo potuto oltrepassare il cancello e inoltrarci nella zona militarizzata che fino a lì avevamo solo visto al di là della barriera. Il ragazzo ci ha fatto strada con il suo veicolo, filando a una velocità che Rocco non poteva sostenere. A sinistra, una laguna selvaggia, piena di canneti e di uccelli dal piumaggio coloratissimo, a destra il mare con la sua spiaggia immacolata. In mezzo, una striscia di terra con la strada e noi sopra. Ogni tanto, qualche vecchia costruzione militare o bunker in cemento deturpava il bel paesaggio naturale, ma nell’insieme il posto era magnifico. Dopo alcuni chilometri, il ragazzo si è fermato e ci ha fatto cenno di proseguire a sinistra. A destra invece, si vedevano in lontananza gli edifici più moderni della vera e propria base, con diverse navi della marina militare ancorate nella baia.

Abbiamo lasciato Rocco e ci siamo avviati a piedi, lungo un sentiero costeggiato dai piccoli bunker voluti da Enver Hoxha, che ha governato il paese dal 1944 al 1985. Ce ne sono all’incirca 750’000, sparsi su tutto il territorio albanese, che Hoxha aveva fatto costruire per respingere un’eventuale invasione di forze militari straniere, evento in realtà mai nemmeno lontanamente accaduto. Moltissimi di questi mini bunker, simili a funghi in calcestruzzo, sono tuttora presenti, sparsi per i colli, i campi, i boschi, le spiagge e i terreni coltivati, testimoni di quel particolare momento storico.

Arrivati al sito archeologico situato su un’intera collina, oh meraviglia! Tra la macchia di cespugli, abbiamo ammirato le vestigia di case, di edifici pubblici e di una grande fontana celebrativa, che risalivano all’epoca della conquista romana. Era affascinante per noi immaginare la vita in quel luogo, a quei tempi. Già allora esisteva la pratica di recuperare l’acqua piovana in cisterne, per usarla durante i periodi caldi, e molte scalinate erano state ottenute scolpendo direttamente le rocce della collina. Dalla cima si godeva di un panorama eccezionale sulla laguna, i monti e il mare. Decisamente, nell’antichità sapevano scegliere bene i luoghi in cui edificare e abitare. In un prato presso le rovine abbiamo incontrato un piccolo branco di cavalli e abbiamo camminato tra distese di fiori di camomilla, nel nostro giro attorno alla collina. Quel luogo aveva subito una distruzione già durante le guerre civili tra Cesare e Pompeo, e molte delle pietre sono finite nella costruzione di abitazioni e chiese circostanti, edificate in seguito.

Siamo tornati dopo un’ora esatta: era il lasso di tempo che ci avevano esortato di mantenere per visitare quello splendido sito archeologico.

Papi ci aspettava per un pranzo al suo ristorante, e anche se aveva dichiarato il suo rispetto per la nostra scelta vegana, non riusciva a raccapezzarsi sul fatto che non volessimo mangiare neanche un pesciolino piccolo piccolo… La sorella Lina, in cucina, ci aveva preparato ottime verdure grigliate, insalata di rucola e tante patatine fritte. Tutto buonissimo.

L’indomani siamo andati a visitare la chiesetta Kisha e Marmiroit. La strada per arrivarci girava proprio dietro alla laguna e abbiamo potuto osservare uccelli variopinti molto particolari. Papi ci ha detto che in Albania la caccia è stata bandita da alcuni anni, e i risultati si vedono e soprattutto, si sentono. Abbiamo incrociato anche una piccola tartaruga d’acqua che ha attraversato la nostra strada, andando a tuffarsi nelle acque con una velocità sorprendente e sentito miriadi di canti d’uccello tra le canne, insieme all’incessante coro delle rane. La chiesa si trovava ai piedi di una dorsale montuosa, anch’essa parco naturale, coperta di sassi e di macchia.

Solo alcune stalle per capre disposte sui fianchi scoscesi segnavano il paesaggio, rimasto quasi intatto. A un certo punto, è sbucata una donna a dorso di un asino, che trasportava due bidoni di latte di capra. È stata un’apparizione anacronistica, che ci ha trasportati indietro nella storia quando la vita aveva un ritmo diverso. Attraversati alcuni prati pieni di cespugli, siamo arrivati alla chiesetta, dove la porta aveva la chiave lasciata nella toppa per chi, di passaggio, la volesse visitare. Era dedicata al culto di Santa Maria delle Fonti e nella sua semplicità emanava un’energia gentile e pacifica. Ci ha raggiunti anche una signora del luogo, sorpresa di trovare lì dentro una coppia di forestieri. Parlava solo albanese, ma nel suo saluto ci è sembrato di sentire un augurio di pace e benevolenza.

Siamo tornati al Maxola’s Dream e Papi ci ha mostrato il suo piccolo hotel, con sei semplici stanze accoglienti che ha sistemato e costruito lui stesso, con le sue mani. Addirittura ha creato dei basamenti di sassi e malta su cui appoggiare le reti e i materassi, ottenendo dei letti unici nel loro genere. Abbiamo ragionato insieme sulle sistemazioni necessarie al terreno dietro all’hotel, che Papi vorrebe trasformare in giardino e orto.

Gli abbiamo raccontato della piattaforma www.workaway.info per mettersi in contatto con possibili volontari in cerca di esperienze, che potrebbero aiutarlo a completare il suo progetto. Abbiamo passato il resto del pomeriggio e della serata a creare il profilo online del Maxola e a caricare le foto che avevamo fatto.

Il mattino dopo, siamo stati svegliati verso le cinque e mezza da veicoli e gente che passava discorrendo a voce alta. Le persone sono abituate a iniziare a lavorare presto, e dato che eravamo già svegli anche noi, ci siamo preparati per la partenza.

Dopo aver salutato Papi con la promessa di rivederci un giorno non troppo lontano, abbiamo ripreso la strada verso Valona.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *