Elogio alla lentezza
Per una buona parte della mia vita ho corso. Per beccare un treno. Per finire le mille faccende “importanti” della vita. Per rispettare tutte le scadenze, gli obblighi e le aspettative nei miei confronti, fiera della mia lestezza come se fosse una qualità particolemente virtuosa. Fare le cose in fretta e possibilmente diverse in una volta era all’ordine del giorno. Praticando assiduamente il multitasking, che consideravo una superiorità femminile, sono andata avanti come un fulmine, ignara di quanto fossi in realtà telecomandata da potenti programmi interni. Sono figlia di Speedy Gonzales: mia madre avrebbe potuto vincere la medaglia d’oro a qualsiasi maratona di rapidità, se solo si fosse presa la briga di partecipare.
Qualche anno prima del viaggio ho avuto un declic. Non so se è stata l’improvvisa morte di Matteo ad aprire un varco o se è successo ancora prima. A un certo punto mi sono fermata e mi sono chiesta: ma dove sto correndo, in realtà? E soprattutto: a quale scopo?
Non avevo una risposta valida e così ho rallenato i ritmi. Ho imparato a porre limiti. A non sovraccaricare. A scegliere con cura. Sono tornata gradualmente ad “abitarmi”, a sentire ciò che mi faceva stare bene, ma anche ciò che non volevo più. Il viaggio ha poi affinato tutte queste abilità e ne ha aggiunte altre.
L’accompagnamento di mio papà alla morte, la lentezza di Rocco, la presenza di Numi nel suo eterno presente, la mia relazione con Francesco, il prezioso tempo che abbiamo a disposizione, il quotidiano da plasmare a nostro piacimento, la pazienza per imparare l’uncinetto: sono alcuni degli insegnamenti di cui ho fatto esperienza quest’anno.
Non avendo nessun particolare luogo da raggiungere, né orari imperativi da seguire, né un motivo valido per fare una cosa piuttosto che un’altra e neppure qualcuno che interferisca da fuori con la mia vita, ho finalmente imparato ad ascoltare la mia voce interiore. Quella che in passato eccheggiava fievole, ma che veniva prontamente coperta dai doveri. Date le circostanze decisamente favorevoli, la vocina si è fatta man mano più ardita ed ora, lei ed io, siamo pappa e ciccia. Riconoscerla e ascoltarla mi ha calmato tanto. Non ho più bisogno di dimostrare niente. Posso semplicemente essere me stessa, senza più fare finta. Fare finta di essere interessata a cose che non m’interessano. Dire di sì, quando invece vorrei dire di no (o viceversa). Posso finalmente fermarmi invece di correre.
Amo il viaggio lento, quando suddividiamo in due o tre tappe la cinquantina di chilometri che abbiamo deciso di percorrere, oppure quando le camminate si fanno lunghe e senza una meta prefissata, da flaneurs che amano perdersi, piuttosto che arrivare. Apprezzo prendere tutto il tempo necessario per ascoltare, guardare o sentire.
Riassaporo la lentezza con grandissimo appagamento, come quando leggo un ottimo libro e temporeggio per finirlo, sospendendone il termine. Mi sono appropriata della lentezza e me la sono ricamata addosso come una seconda natura. Mi piace sfoggiarla, trovo che mi stia bene. Mi rende più felice, attenta, presente e di conseguenza, più viva!
Brava Nat parole sante. Ma non per tutti è facile in questo mondo sempre più frenetico. Io sto imparando tanto da te e te ne sono grata.
Un caro saluto e tanti auguri di buone feste a te e Francesco.
Sonia e Elges
Grazie Sonia!
La vita è un continuo e dinamico processo di apprendimento e presa di consapevolezza. S’integrano molte lezioni, strada facendo. In questo senso ti auguro un proficuo cammino!
Un abbraccio forte da Nat.