Dal Peloponneso all’Epiro
Tre giorni fa siamo tornati a Kyllini, nello spiazzo accanto alla Taverna Faro. Era lo stesso posto dove avevamo passato una notte a inizio del nostro viaggio in Grecia. Lungo la strada abbiamo ragionato su come gli stessi luoghi, così come i modi delle persone, che all’inizio ci sembravano completamente nuovi e inusuali, ora ci fossero diventati familiari.
Pensavamo di trovare quel posto ancora deserto o quasi e invece c’erano Giorgios, il proprietario della taverna, e due coppie di camperisti: un altro Giorgios e la sua Eli, scalatori di roccia della Cechia, così come Bryon e Julia, dalla Germania, con i quali si è subito creata una piccola tribù in quell’angolo di costa. Bryon è un cantante pop-rock, e non ci è voluto molto prima di tirar fuori la chitarra dal nostro camper e fare una bella suonata insieme, piena di ardore e aneddoti. Bryon aveva servito nell’esercito USA, che lui ora chiama “la mafia”, e aveva partecipato alla guerra in Iraq. Non sono mancate le discussioni sullo stato del mondo e su come le cose stiano cambiando, suscitando emozioni altalenanti tra l’indignazione e un ottimismo più fiducioso.
In questi giorni è in atto un’esercitazione NATO proprio qui in Grecia, e quotidianamente veniamo sorvolati da jet da combattimento, talvolta così bassi da assordarci. In modo del tutto sorprendente, proprio lì a Kyllini circolavano giovanissimi soldati americani impegnati nelle manovre. Faceva tenerezza e anche profonda tristezza vedere quei giovani, appena post adolescenti, impegnati a imparare “l’arte della guerra”, invece di essere coinvolti a costruire un mondo più bello e amorevole. Bryon diceva: “Ecco, anch’io ero così quando ero sotto le armi. Del resto, la scuola mi annoiava, lavoro non ne trovavo e fare il militare mi era sembrata l’unica opzione possibile”. Non è incredibile che ancora oggi, in una nazione che si propone come avanzata ed evoluta, migliaia di ragazzi non abbiano una scelta migliore per la propria vita?
A Kyllini, il nostro taverniere ci ha preparato un bel pranzetto (il primo pasto che non abbiamo preparato noi da mesi), portandocelo fino al nostro tavolino da campeggio: verdure alla greca (un mix di verdure di stagione, cotte in abbondante olio e sugo di pomodoro) con insalata greca senza feta, ma con uvetta e pezzetti di fico secco. Un tipo divertente, Giorgios. Gestisce quel posto da 34 anni, è in forma e ogni giorno fa una nuotata in mare, anche quando l’acqua è fredda. Non assomiglia certo alla gran parte dei maschi greci che abbiamo visto, che sono piuttosto in carne e con la pancia, anche in giovane età. La cosa buffa è che dopo le sue nuotate rinvigorenti, per riprendere la temperatura corporea, Giorgios gira per ore con un piumino invernale e un berretto di lana in testa, malgrado il sole.
Dopo due giornate molto simpatiche in cui abbiamo socializzato, fatto il bucato, cantato, suonato, fatto il bagno in mare e anche oziato, siamo partiti di buon’ora, diretti verso Gastouni, dove sapevamo ci sarebbe stato il grande mercato settimanale. Effettivamente, ci siamo ritrovati a girare tra le moltissime bancarelle di vestiti, scarpe, tappeti, pentole e attrezzi vari gestite da zingari, per infine fare il pieno di verdura e frutta fresche.
La realtà degli zingari è proprio un mondo a parte. Funzionano a modo loro, con i maschi che sembrano un po’ indolenti, a fumare e a gridare per attirare l’attenzione sulla loro mercanzia, e le donne più impegnate a discutere i prezzi e a mostrare la merce. Sembrano tutti presi da qualche business, con le loro pelli scure e i capelli folti e neri che li contraddistinguono, così come con la quantità di bambini che li attornia. Nessuno di loro porta la mascherina, né i bambini danno segno di frequentare alcuna scuola. Eppure, di questi tempi strampalati, sembrano più normali di noi, che ci sentiamo costretti a nascondere la faccia dietro un pezzo di stoffa e a vivere nella costante paura di un pericolo invisibile. In un modo tutto loro, gli zingari danno l’esempio che è possibile esistere in modo diverso.
Ci siamo poi rimessi in viaggio, con l’idea di dirigerci allo Ionian Blue, in prossimità di Manolada. Il nostro intento era di tornare da Giorgios (eh sì, un altro ancora!), il primo greco ad averci ospitati, dopo il nostro sbarco a Patrasso più di sei mesi fa. Ci siamo chiesti se ci avrebbe riconosciuti, ma appena l’abbiamo rivisto, Giorgios ci ha abbracciati come uno zio benevolo e gentile. Si ricordava ancora benissimo di noi e ci ha fatto sentire come se davvero fossimo i suoi amati nipoti.
Abbiamo subito iniziato a raccontarci le nostre avventure degli ultimi mesi, in un misto di greco e di inglese. Lui ci ha stesi subito, imponendoci un brindisi a base di ouzo. In realtà, non l’avevamo ancora bevuto qui in Grecia, dato che beviamo alcol solo molto raramente, ma non abbiamo potuto rifiutare. Così, ci siamo trovati tra le mani il nostro bel bicchiere di ouzo e acqua fresca, e le nostre lingue si sono fatte più sciolte.
Ci siamo accordati per un pranzo vegano verso le cinque del pomeriggio (ormai abbiamo preso gli orari greci) e puntale a quell’ora è arrivato. Verdure alla griglia, una ricca insalata, riso ai peperoni e fette di pane con pomodori tritati con olio e aglio abbondanti. Questa settimana ci siamo dati la sfida di masticare ogni boccone almeno venti volte, ci siamo dunque presi il nostro tempo e abbiamo spazzato tutto con delizia.
Con un sole timido di fine giornata, siamo andati a fare una lunga passeggiata lungo la spiaggia. Quella zona è piuttosto selvaggia, con campi coltivati fino a ridosso delle dune presso la riva. Come in altre spiaggie che abbiamo frequentato in Grecia, abbiamo incontrato grandi quantità di plastica abbandonata, molta della quale proveniente dalle colture vicine: grandi mucchi di teli di plastica semisepolti dalla sabbia, scatole di polistirolo, metri e metri di tubi neri che qui utilizzano per l’irrigazione, corde, spaghi e reti di protezione di nylon, pezzi di bidoni e un numero impressionante di bottiglie d’acqua vuote. Dopo aver passato ben due mesi a raccogliere plastiche tra le dune e in spiaggia a Neochori, è stato molto difficile lasciar tutto dov’era. Non avevamo con noi alcun sacco da poter riempire con quel nuovo materiale, sparso in abbondanza su tutta la lunga spiaggia.
Lungo il percorso, abbiamo incontrato ben sei enormi tartarughe marine morte. Era davvero impressionante vedere quegli esseri così particolari e affascinanti, ridotti a carcasse scavate dalle mosche e dall’acqua. Molte sono le rive in Peloponneso in cui le tartarughe tornano per deporre le uova, verso maggio o giugno. È davvero un miracolo che riescano a riprodursi, dribblando le reti della pesca indiscriminata, la plastica che scambiano per cibo, i predatori naturali e infine l’uomo, che disturba o distrugge il loro habitat sulle rive, con costruzioni e luci che confondono le neonate tartarughine nel loro primo viaggio verso il mare. Le piccole tartarughe, infatti, seguono il riflesso lunare per dirigersi verso l’acqua, e se disturbate da luci artificiali, perdono l’orientamento e muoiono.
Siamo tornati stanchi al nostro camper, mentre il vento diventava sempre più fresco. Presto è calata l’oscurità e siamo andati a dormire, cullati dai latrati dei cani del vicinato e dal canto di qualche uccello notturno.
Stamattina, partendo, abbiamo salutato il cagnone Filos, che aveva deciso di montare la guardia al nostro camper dopo che gli avevamo passato un paio di biscotti per cani. Ovviamente siamo andati a salutare anche Giorgios e ci siamo lasciati coinvolgere in un’altra bella chiacchierata. Gli abbiamo fatto conoscere la piattaforma workaway, tramite la quale trovare valenti volontari per il suo progetto. Giorgios ci ha fatto promettere che, in caso dovessimo ritornare in Grecia, ci fermeremo da lui a dargli una mano a dare una bella ripulita e rinfrescata al suo Ionian Blue.
L’idea ci ha molto solleticati, e siamo partiti carichi di energia ed entusiasmo verso Patras. Siamo diretti da Shawn e Kyle, due americani che, dopo aver passato decenni a Los Angeles, hanno eletto l’Albania come luogo di residenza permanente. Hanno aperto il primo ristorante californiano del paese e ci hanno chiesto di procurargli litri di salsa tahina e salsa di soya in un supermercato greco per grossisti.
Dopo le spese e aver districato Rocco al centimetro per le vie del centro di Patras, abbiamo preso il ponte che copre il braccio di mare tra il Peloponneso e l’Epiro. Ci sembrava davvero poco trafficato e ne abbiamo scoperto il motivo: la traversata ci è costata quasi trenta euro di pedaggio. Il tempo, intanto, si era fatto grigio, con l’aria ferma e quasi afosa. Seguendo qualche indicazione delle nostre app, siamo approdati di nuovo in riva al mare, a Kato Vasiliki, su una bella baia con vista su tutta Patras. Abbiamo posteggiato appena fuori dal paesino, tra la riva e un campetto da calcio con l’erba alta. Ci aveva subito attirato la strada che costeggiava il promontorio lì vicino, e siamo andati in perlustrazione. Oltre il paese il paesaggio era molto particolare, stretto tra il mare e le aspre alture, le cui rocce apparivano frantumate e scavate per ricavarne i sassi per il fondo stradale e i moli del porticciolo lì accanto. Nat aveva insistito per esplorare la zona fino a dietro il promontorio. Svoltata l’ultima curva, ci siamo trovati a una piccola insenatura e anche al termine della strada. Un paio di auto e un van nero erano tutta la presenza umana sul posto. E poi, la sorpresa: il van era quello dei nostri neo amici Bryon e Julia.
Una coincidenza quasi incredibile, ritrovarsi lì a un centinaio di chilometri dal nostro ultimo incontro. Il loro cane Rio ci è subito corso incontro, festoso, e noi, felici di ritrovarci, ci siamo nuovamente tuffati nelle nostre chiacchiere, come vecchi amici che hanno ancora un sacco di cose da raccontarsi.