3500 chilometri
Poco prima di riprendere la strada per raggiungere Nat a Belgrado, a Malaga un afoso vento da sud aveva portato con sé dai deserti nordafricani una sabbia finissima e rosata. Per giorni l’aria era rimasta carica di pulviscolo, velando il sole in una irreale atmosfera di luce diffusa.
La polvere si era infilata in ogni dove e aveva ricoperto tutto, Rocco compreso. Poi era arrivata un po’ di pioggia, quel tanto da trasformare la polvere in una melma rosata appiccicaticcia. Tre lavaggi non sono bastati per rendere presentabile il camper.
Siamo partiti il lunedì, di buon’ora, per evitare il traffico cittadino.
Prima tappa: Las Negras, nel cuore del parco di Cabo de Gata, per un saluto al nostro amico Ale e al suo cane Arturo. Il giorno seguente è stato il turno di Denia. Abbiamo tenuto un ritmo giornaliero di 300-400 chilometri, per non stancarci troppo. Nonostante il suo doppio fondo, il volume interno di Rocco amplifica ogni suono e dopo qualche ora, tra motore e cunette stradali che fanno risuonare tutti gli oggetti del camper, le orecchie hanno bisogno di riposo.
Ripercorrere le strade che avevamo attraversato con Nat mi ha ricollegato con tutti i bei momenti passati insieme. Numi, dal canto suo, dopo un primo momento di sconcerto, si è rapidamente abituato ai ritmi della strada, ai posti e agli odori sempre diversi e agli incontri con altri cani. In viaggio, si stendeva sul pavimento del camper dormicchiando beato, ma non appena sentiva il motore calare di giri e arrestarsi, scattava subito verso la porta, scodinzolando, pronto per scoprire le meraviglie del mondo esterno.
Siamo così arrivata a L’Ampolla, da Liz e Allan, i due scozzesi che posso ora considerare amici, da cui eravamo già stati ospiti. Siamo stati accolti e ospitati con grande calore, dimenticandoci del freddo di quel momento. Infatti era da diversi giorni che aveva iniziato a soffiare un vento teso da nord, così forte da far ondeggiare parecchio Rocco durante la guida. Lì ci siamo rilassati per un giorno e abbiamo fatto un bel carico di avocado e arance biologiche da portare in Serbia.
Dopo aver attraversato la Spagna, da sud a nord, era arrivato il momento di passare in Francia e con calma, lungo le strade nazionali, siamo risaliti quasi fino a Perpignan, sostando in un paesino chiamato Banyuls-dels-Aspres. Le nostre uscite fuori dal camper si erano ridotte al minimo, a causa del vento furioso, giusto per sgranchirci le gambe, far alleggerire Numi e trovare un bar con wifi per gli aggiornamenti con Nat, che aveva iniziato a contare le ore mancanti fino al nostro arrivo.
In Francia ho apprezzato molto l’attitudine rilassata e simpatica delle persone verso i cani, molto diversa da quanto accadeva in Spagna. Dopo il sud andaluso e i suoi paesaggi aridi e sassosi, il verde di inizio primavera in Provenza, florido e magnifico, mi ha riempito il cuore di gioia.
Il giorno dopo abbiamo fatto una piccola sosta ad Arles. Per puro caso, avevamo trovato posteggio a ridosso del centro, così ci siamo goduti i bellissimi tulipani del giardino della fondazione Van Gogh. A Vidauban abbiamo trovato il posto per la notte. Stanchi, abbiamo fatto un giro per il piccolo paese, fermandoci a un bar per rilassarci. Dopo pochi minuti, il posto si è riempito di giovani donne e la musica è salita a volumi potenti, insieme alle grida: era una festa di addio al nubilato. E anche di addio al nostro momento di relax.
Il freddo e il cattivo tempo intanto continuavano a seguirci e così ho rinunciato a passare lungo la Costa Azzurra, dirigendomi dritto verso l’Italia. Passato il confine, sono iniziati i cantieri autostradali. Per quasi 200 chilometri è stato un susseguirsi di restringimenti e di cambi di carreggiata. Per fortuna era domenica, altrimenti mi chiedo quanto avremmo impiegato in un giorno normale, incastrati tra gli innumerevoli TIR.
Nel pomeriggio siamo finalmente arrivati dalle parti di Monza, a casa di mia sorella. Casa in senso lato perché lei è un’artista e abita in un loft ricavato in un capannone, che ha riempito con le sue scintillanti e colorate opere. Numi ha fatto subito amicizia con Lillo, il suo piccolo cane, e un po’ meno con Sushi il gatto, che l’ha spaventato tentando di graffiarlo. È stato bello ritrovare Silvia, dopo quasi due anni, e ci siamo raccontati le nostre varie avventure. Il tempo è passato veloce e abbiamo avuto la fortuna che Riccardo, un altro nostro fratello, fosse a Milano proprio la sera seguente. Abbiamo cenato insieme e per un momento abbiamo riassaporato l’aria di famiglia.
Questi primi ritorni in città mi hanno colpito perché ho sentito nettamente l’aria puzzare. Dopo tanti mesi di viaggio in zone rurali o lungo il mare, l’aria cattiva e il rumore incessante della città mi hanno causato non poco disagio. È proprio vero che le città non sono fatte per far stare bene le persone: sono delle vere e proprie fabbriche di stress.
Era arrivato il momento di ripartire, questa volta per un percorso relativamente breve fino a Vicenza, per salutare un vecchio amico e l’altro fratello, Ruggero. Ho approfittato del primo pomeriggio per fare un bel giro in centro città e riassaporare i ricordi dei vecchi tempi. Naturalmente, dopo oltre 25 anni di assenza, molte cose sono cambiate. Il centro resta comunque un gioiello, con la sua piazza dei Signori e la Basilica palladiana, di brillante pietra bianca tornata ai vecchi fasti dopo un recente restauro.
Le ore sono passate in un baleno e il giorno seguente siamo partiti alla volta di Trieste, collezionando un altro paio di centinaia di chilometri di autostrada.
Nonostante la bruttezza del suo camper stop, Trieste era illuminata da un bel sole e splendeva nelle sue piazze sul mare. Numi ed io l’abbiamo percorsa in lungo e in largo, prima di incontrare Ada, una mia vecchia compagna di liceo, dopo più di 42 anni che non ci eravamo più visti e sentiti. Numi è andato un po’ in crisi con i quattro cani di Ada, mentre noi due ci raccontavamo le nostre vite in tutti quegli anni.
La serata è volata e, dopo un breve sonno e la consueta passeggiata mattutina, ci siamo avviati verso Belgrado. Volevamo proprio arrivare da Nat, stavolta attraversando Slovenia e Croazia di un botto.
I chilometri di asfalto ci sono scivolati sotto le ruote, mentre incrociavamo centinaia e centinaia di TIR lungo le rotte per l’est. A ogni area di sosta potevamo condividere piccoli momenti della vita dei camionisti, un vero mondo parallelo grazie al quale abbiamo ogni giorno il cibo sulle nostre tavole, così come ogni altro prodotto necessario (e anche non necessario), per mantenere il nostro stile di vita.
Le ore sembravano scorrere lentamente, mentre passavamo tra i monti e le colline boscose della Slovenia e per i campi della Croazia, costeggiando aree industriali, centri commerciali e svincoli autostradali, simili ormai in ogni paese.
Dopo 10 ore di guida, siamo arrivati a Belgrado proprio all’ora di punta delle cinque della sera. Entrando in città, i viali principali erano diventati un fiume di traffico in cui si procedeva a passo d’uomo, con mille manovre azzardate tra una corsia e l’altra. Abbiamo impiegato quasi due ore per quei pochi chilometri che ancora ci dividevano dalla casa del papà di Nat. Finalmente, dopo un tempo che pareva infinito, abbiamo raggiunto il posto e abbiamo visto Nat apparire alla distanza, con la sua inconfondibile andatura e il sorriso che illuminava tutto il posteggio.
Il tempo di spegnere il motore ed ero già sceso a correre per abbracciarla. Non mi sembrava vero sentirla di nuovo tra le mie braccia, ascoltare la sua voce, guardarla finalmente negli occhi. Di colpo, i 3500 chilometri percorsi erano già spariti e tutta la magia era tornata. Finalmente insieme di nuovo.