Stara Planina e dintorni
Le varie persone con cui abbiamo parlato, ci avevano consigliato di andare assolutamente a Stara Planina, la Vecchia Montagna, che si estende tra la Serbia sud-orientale e la Bulgaria. È un immenso parco naturale, con numerosissimi luoghi interessanti da visitare e percorsi da seguire. Ci avevano indicato il paese di Vrelo come punto di partenza per la nostra esplorazione, e lì ci siamo diretti. In serbo, Vrelo significa “fonte” e dopo aver percorso alcune decine di chilometri su strade tortuose, ci siamo resi conto che il navigatore ci stava sì portandoci a Vrelo, ma non a quello che cercavamo noi! Così abbiamo scoperto che in Serbia ci sono decine di luoghi che si chiamano in questo modo.
Il tempo non prometteva granché di buono, con rovesci temporaleschi annunciati, e sulla strada era in corso un attivissimo cantiere, con chilometri di strada in costruzione, buche, camion e ruspe, operai e quintali di polvere. Piano, piano, abbiamo raggiunto il Vrelo che volevamo, e abbiamo posteggiato Rocco di fronte a un allevamento di trote con due cani pastore tedesco che abbaiavano ogni volta che vedevano apparire Numi.
La zona era magnifica, con corsi d’acqua ovunque, boschi e montagne tutto attorno. È una riserva per i lepidotteri, con centinaia di farfalle dalle ali blu, lilla e violetto translucido. Sembravano creature di sogno, svolazzanti tra gli alberi e l’erba alta, colorate, silenziose e delicate.
Il mattino successivo, Numi era già carico di energia alle 6.30 e aspettava la nostra passeggiata con impazienza. Abbiamo riempito i sacchi e siamo partiti verso una cima lì vicino. Lungo la strada, a neanche un chilometro dal nostro punto di partenza, abbiamo incontrato una coppia di contadini in là con gli anni che riposavano i loro vecchi corpi su una panchina al sole, e abbiamo iniziato a parlare con loro. In pochi minuti eravamo già entrati in confidenza e ci hanno raccontato dei loro vari malanni. Francesco ha offerto loro una sessione di guarigione, che hanno ricevuto più che volentieri. Per ricambiare, ci hanno invitati a casa loro, una casa tipica della regione. Siamo entrati in una corte attraverso un portone di legno, sulla strada, e all’interno abbiamo trovato tutti gli edifici di una fattoria: la stalla, la casa, il granaio, il fienile, un pozzo, l’orto, la rimessa per gli attrezzi e le macchine agricole e infine il magazzino laboratorio per le riparazioni degli attrezzi da lavoro. La loro cagnetta ha subito attratto l’attenzione di Numi, che nella frenesia amorosa emetteva suoni da babbuino, con nostro grande divertimento. Davanti a un succo di frutta, i discorsi sono andati avanti un pezzo. Come in molte altre zone agricole, anche qui sono rimasti ad abitare soprattutto gli anziani, che raccontano volentieri le loro storie a chi gli dedica un po’ di tempo. Dopo questo piacevolissimo intervallo, abbiamo ripreso la strada fino al paesino successivo, dove abbiamo aiutato un’altra nonnina a tagliare un po’ della legna necessaria per la sua cucina economica. Ci ha raccontato che per lei la vita è molto dura, da sola, diabetica e dolorante. Incontriamo molte storie di vita dura e difficile, ma i contadini la vivono con filosofia: con intensità, e al contempo con un distacco fatalista. La vita accade ed è così com’è: per loro non ha senso drammatizzarne gli eventi.
Nel paesino abbiamo ricevuto qualche indicazione su un possibile sentiero da seguire, che subito ha preso a salire con decisione. Benché con il fiato corto, abbiamo continuato a salire, determinati. In alto, il bosco stava invadendo gli antichi pascoli, ormai abbandonati e noi abbiamo potuto immaginare le vite lassù, in compagnia di mucche, pecore e cani, tra il cielo e la montagna. Tutto attorno potevamo scorgere altre cime montuose coperte da un verde molto intenso e rigoglioso. Circondati da insetti e uccelli, in basso si vedevano i tetti delle poche case di Vrelo e il nostro Rocco. Non c’era altro segno umano, se non qualche rovina di stalla e qualche traccia di sentiero, appena percepibile.
La discesa è stata impegnativa, dato che abbiamo tagliato dritto giù per il bosco e i prati, tra cespugli, alberi, rovi, alte erbe, dislivelli e corsi d’acqua da attraversare. In questa stagione è pieno di fiori anche sulle montagne, e ogni tanto ci fermavamo, meravigliati dall’intensità dei loro colori. Alla fine, esausti, abbiamo raggiunto Rocco, giusto in tempo per ripararci dall’ennesimo temporale.
Per il giorno seguente avevamo previsto un’altra meta. Da Vrelo si aprono due vallate, e noi volevamo percorrere l’altra, fino a una cascata chiamata Tupavica. Quella valle si estende per quasi trenta chilometri ed è ancora intensamente coltivata. Raggiunto il paese di Dojkinci, abbiamo piazzato il camper nella piazzetta accanto all’unico emporio del posto, che funziona anche come bar informale, in cui gli abitanti si ritrovano per piccoli acquisti, due chiacchiere e l’immancabile rakia.
Francesco desiderava un caffè alla turca, e abbiamo atteso che la simpatica signora lo preparasse con il suo pentolino. Nel frattempo, il camper aveva attirato la curiosità dei presenti, e come accade spessissimo qui in Serbia, in un attimo ci siamo ritrovati coinvolti nella vita del paese. Ci è voluta un’ora, prima di poter salutare tutti e avviarci lungo i sei chilometri che ci separavano dalla cascata. La passeggiata è stata molto gradevole e facile e Topovica è risultata essere davvero magica. Attraversato un ponticello di legno sul piccolo fiume a lato della strada, si raggiunge una radura da cui si scorge, nel folto tra gli alberi, la cascata d’acqua. Ci siamo inerpicati tra le rocce coperte di muschio, e finalmente davanti a noi si è aperto un quadro selvaggio e affascinante: una gradinata di grandi rocce con salti d’acqua, circondata da una natura ancora intatta e vibrante. Si poteva letteralmente avvertire la carica di energia nell’aria fresca smossa dalle goccioline di acqua.
Lì vicino troneggiava un faggio maestoso, che, con la sua antica presenza, ci ha letteralmente chiamati, con il tronco ritorto, le radici che affondavano fino alla riva del fiume e i rami possenti carichi di fogliame. Abbiamo passato un lungo momento ad occhi chiusi, le mani appoggiate alla sua corteccia, per caricarci della sua forza. Quando “comunichiamo” con gli alberi, Numi immancabilmente celebra il momento con ululati sorprendenti. Chissà cosa sente, con la sua sensibilità animalesca.
Dopo esserci rifocillati, abbiamo preso la strada del ritorno e questa volta la pioggia ci ha sorpresi, bagnandoci come si deve. La temperatura gradevole e la carica di energia hanno reso piacevole anche la nostra doccia inaspettata.
Le previsioni meteo ancora poco favorevoli ci hanno spinto a scendere da Stara Planina prima del previsto. Ne abbiamo approfittato per far tappa a Rsovci, un piccolo villaggio dove si trova la chiesa del XIII secolo dedicata a San Pietro e Paolo, ricavata da una caverna. Lì si trova un sorprendente affresco che rappresenta un Gesù insolito: giovane, senza barba, con la testa pelata e con un ciuffetto di capelli sulla sommità del cranio. Per entrare nella chiesa va chiesta la chiave a un novantenne del paesino. Lo indica un cartello scritto a mano, in cirillico: se non ci fosse stata Nat, che lo legge correntemente, non lo avremmo mai scoperto. È stata una sosta pacificante e rilassante, con un momento di raccoglimento e meditazione, in cui abbiamo acceso le tradizionali candeline votive per i nostri morti, inviando benedizioni anche ai nostri vivi.
Rsovici, con la strada che lo attraversa disfatta dai lavori in corso, non ci era sembrato nulla di particolare. Invece, si è rivelata un gioiello: la parte lungo il fiume, che lì compie alcune anse, è bellissima. Ci sono casette ben tenute, con piccole terrazze che sporgono sull’acqua, prati verdi e fioriti e grandi alberi che stormiscono al vento. In lontananza si possono ammirare i dossi e le alture coperte di boschi, e in lontananza, in mezzo al paesaggio, un cedro altissimo e possente.
Dopo la visita, abbiamo deciso di scendere a Pirot, la cittadina da cui parte la strada per Stara Planina, e di dormire una notte in albergo. Pirot è stata una piacevole sorpresa. Attraversata da un fiume, ha una piazza del mercato attorniata da piccoli negozi, botteghe di artigiani, panetterie e caffè e un centro risalente agli anni ’70 ora un po’ malmesso, ma con un suo fascino desueto. Abbiamo cenato in una kafana molto jugoslava, con un cameriere della vecchia scuola che ci ha trattati con cura, gentilezza e simpatia.
Dopo una notte riposante, siamo andati a far spesa al mercato e poi abbiamo ripreso la strada, diretti nuovamente a Čučale, per partecipare alla tradizionale festa dei morti ortodossa e rivedere la famiglia di Nat. Sulla strada, abbiamo deciso di fare una piccola tappa attorno a Prokuplije, per procurarci del buon Prokupac, un vino ricavato da un millenario vitigno della zona… ma questa è tutta un’altra storia.