posti e persone

La trasformazione di Belgrado

Dopo molti anni di assenza, Nat era ritornata in Serbia nel 2014 e aveva insistito perché ci andassi con lei una volta. Nonostante il suo entusiasmo, ricordo di aver avuto delle resistenze, dovute soprattutto dai pregiudizi un po’ razzisti imperanti in Veneto e in Ticino, ma anche da un senso di vergogna che provavo per le vicende della guerra degli anni ’90, che aveva portato alla disgregazione della Jugoslavia con la connivenza della Nato e dei paesi europei. Come in ogni guerra, sono i vincitori a scriverne la storia, mettendo i perdenti nella parte del male, e così era stato con i serbi e i loro leader, fatti passare per mostri assassini. La profonda crisi seguita alle vicende belliche aveva provocato un forte esodo dai Balcani. Quasi un terzo della popolazione serba aveva cercato nuove opportunità all’estero, in particolar modo quelli più istruiti o abili nei lavori manuali. Altri avevano cercato il soldo facile, dedicandosi al crimine e guadagnando una pessima fama per la propria gente, un po’ come i mafiosi per gli italiani.

Nel 2015 abbiamo visitato Belgrado insieme per la prima volta. Appena arrivato all’aeroporto Nikola Tesla, la città mi è subito sembrata ricca di contenuti. Abbiamo preso un taxi un po’ malmesso e l’autista ci ha raccontato la sua visione sulla Serbia, sulla politica del primo ministro e sulla vita in generale, come se fossimo dei vecchi amici, rientrati in patria, dopo anni passati all’estero. Mi colpiva il fatto che era stato un ingegnere, orgoglioso del suo lavoro nel settore industriale jugoslavo. Ho scoperto poi che molti tassisti erano colti professionisti, che si erano reinventati una professione a causa della distruzione del tessuto produttivo e industriale. Dato che molti di loro possedevano un’automobile e una certa conoscenza delle lingue straniere, hanno scelto quell’attività in proprio per sbarcare il lunario. Le tariffe dei taxi erano così basse e le chiacchierate con gli autisti così interessanti, da indurci, dopo quella prima volta, a farne uso corrente, nonostante la nostra passione per le lunghe camminate. Mano a mano che ci avvicinavamo al centro, per la prima volta ho avuto modo di vedere l’architettura di stampo socialista, la vecchia stazione ferroviaria, quella dei bus, il fervore di vita, di traffico e di gente, con il suo corredo di confusione, sporcizia e vitalità. Quella vibrazione mi piaceva e mi sentivo caricato a mia volta.

La città si presentava ancora segnata da ampie zone semiabbandonate o deperite, anche in pieno centro. Lungo le strade e nei mercati, fiorivano commerci di ogni tipo con frotte di zingari, anziani e persone povere che chiedevano l’elemosina, cani e gatti randagi, strade da risistemare. I bus stipati di passeggeri lanciavano sbuffi neri a ogni accelerata e i vecchi tram sferragliavano e gemevano lungo i binari. Il riscaldamento di molte case era ancora a carbone, legna o a nafta per gli edifici più grandi, e l’aria era piena di polvere e gas di scarico. Ovunque circolavano auto che sembravano “storiche”, e spesso si incontrava spazzatura smaltita in modo a dir poco “creativo”. Un’intera, grandissima area lungo il fiume Sava, ai piedi della vecchia Belgrado, era occupata da Savamala, un distretto industriale e artigianale, pieno di vecchi capannoni ed edifici dal fascino irresistibile. Attorno ai suoi abitanti, in gran parte gitani, a Savamala si era sviluppata una comunità di artisti, creativi e musicisti, che rendeva la vita notturna di Belgrado un’esperienza che attraeva persone da tutto il mondo. Al confine della zona, oltre la stazione dei bus che ricordava un mercato mediorientale, con le sue bottegucce, biglietterie e gente carica di borse e valige, si trovavano alcune grandi baracche fatiscenti, occupate dai migranti in arrivo, che si arrangiavano a sopravvivere, infagottati di stracci e nutriti alla bell’e meglio dalla popolazione locale e da qualche associazione non governativa.

Osservavo ogni dettaglio, mentre Nat mi raccontava dei suoi ricordi di infanzia, che ritrovava nei piccoli chioschi, nello stile degli edifici e nei modi delle persone, ancora pronte a prendersi un momento per scambiare due chiacchiere. Nei bar e nei ristoranti si fumava, e ancora si fuma, e l’atmosfera dei locali era malsana e affascinante al contempo. Dalla fortezza Kalemegdan, posta su una collina della città vecchia, si potevano scorgere i due fiumi che si incontrano ai suoi piedi, la Sava e il Danubio, così carichi di storie e di emozioni. Di là della Sava si scorgeva Novi Beograd, la nuova Belgrado, dove si trovano gli enormi complessi residenziali in cemento armato, organizzati in blocchi, chiamati blok, ciascuno dei quali costituisce un piccolo quartiere, con i suoi negozi e mercati, gli spazi verdi e i luoghi di incontro e di ritrovo.

L’impressione era di una città sul punto di esplodere, per rilanciarsi come capitale in linea con gli standard globalizzati. In geopolitica, la Serbia aveva un ruolo difficile: in bilico tra le lusinghe all’UE, gli storici legami con la Russia, gli interessi cinesi e dei grandi gruppi internazionali di investimento e una corruzione diffusa in modo capillare. Belgrado ne rappresentava il culmine. A scadenze regolari, le vie centrali di Belgrado erano attraversate da cortei di protesta per la cosiddetta svendita in atto del Paese, della sua storia e dei suoi valori.

Un altro aspetto che mi ha impressionato fin da subito, era la fortissima presenza di popolazione giovane. Belgrado era ed è tuttora un fortissimo magnete per tutti coloro che speravano in un’opportunità di formazione, di lavoro e di business, e questo provoca un afflusso continuo di gente verso la capitale e i suoi dintorni.

Negli anni seguenti, abbiamo frequentato Belgrado con regolarità e ne abbiamo potuto seguire l’evoluzione.

Già alla seconda visita, pochi mesi dopo, l’abbiamo trovata molto cambiata. Meno cani e gatti in giro, meno zingari e i loro commerci, i prezzi in aumento e una tendenza generale di ripulitura. Erano invece aumentati gli agenti della polizia municipale, robusti energumeni più adatti a un servizio di sicurezza che a un servizio al cittadino, che fin da subito si sono contraddistinti per gli interventi ruvidi e una propensione ad accettare denaro in cambio di qualche favore. Lungo le vie principali iniziavano a prendere piede negozi dei grandi gruppi della moda, rendendole identiche a quelle che si trovano in qualsiasi altra città, abitate dallo stesso tipo di fauna umana, che consuma gli stessi riti e gli stessi prodotti. La musica tradizionale è andata via via sostituita dalla brodaglia delle top chart preconfezionate, il caffè alla turca è stato spazzato dall’espresso e dal latte macchiato e le insegne, fino a poco tempo fa scritte usualmente in cirillico, si anglicizzavano a vista d’occhio. Molti edifici erano in via di restauro, altri erano spariti, sostituiti da immobili da investimento a rendita veloce e basso gusto architettonico e urbanistico. Una storia che conoscevamo già, vissuta dal resto d’Europa e del mondo nei decenni precedenti e ora importata a tutta velocità a Belgrado. La gente era divisa tra chi amava questo nuovo vigore, elogiando il governo e scorgendo le opportunità per un maggiore benessere, e chi invece soffriva per questa letterale aggressione a un’intera cultura e stile di vita. Molti ci esprimevano la convinzione che la recente guerra fosse stata pianificata per creare una situazione come questa: un paese ricco di risorse naturali e all’incrocio tra oriente e occidente era stato messo in ginocchio e reso vulnerabile all’assalto delle forze della finanza e anche della criminalità organizzata.

Il 2016 è stato anche l’anno in cui Belgrado ha vissuto uno degli episodi più misteriosi e inquietanti della sua storia recente. Una notte, tutta Savamala era piombata nel buio, preda di un blackout. Decine di uomini vestiti di nero, mascherati con passamontagna, hanno preso il controllo della zona, legando alcune guardie notturne, sequestrando telefonini e impedendo a chiunque di restare o di avvicinarsi alla zona. La Polizia, allertata da decine di telefonate, non dava alcun seguito alle chiamate. Dietro a quest’azione, sono arrivate le ruspe, che hanno demolito l’intero quartiere fino alle fondamenta: nel giro di una notte, Savamala era scomparsa. Nonostante le denunce, a tutt’oggi nessuno è in grado di dire chi fossero quelle persone, né chi fosse il loro mandante. Ma il seguito la dice lunga: in quell’area un investimento colossale degli Emirati Arabi ha lanciato il cosiddetto Belgrade Waterfront, un’area immensa in cui sono stati costruiti edifici di lusso, grattacieli, un centro commerciale, parcheggi in silos, larghi viali per il traffico. Quella zona è stata letteralmente trasfigurata, con un effetto assolutamente straniante. Quegli edifici si vedono ora da tutta la città e ne hanno cambiato radicalmente il panorama. Di fronte a un movimento di capitali di questa portata, dubitiamo che il mistero verrà mai risolto, né che le responsabilità di quest’azione illegale vengano riconosciute.

Questo avvenimento ci ha colpiti nella nostra ricerca un po’ romantica di un luogo diverso dall’omologazione imperante, ma siamo felici di avere potuto cogliere Belgrado proprio nei suoi ultimi momenti, prima del suo cambiamento radicale.

Il centro città, intanto, era diventato un incubo per il traffico, a causa delle innumerevoli costruzioni e sistemazioni di edifici e infrastrutture. La polvere era ovunque e si sentiva il bruciore nel naso a respirare quell’aria, in particolare nei mesi invernali. Non a caso Belgrado risulta essere una delle città più inquinate al mondo, specie in termini di polveri sottili. Per molta gente, la vita in città si è ora fatta più dura, e non solo per gli aumenti dei prezzi e degli affitti. Al contempo, si vedono apparire i segni di una nuova ricchezza, con il suo corredo di auto di lusso, club esclusivi e abitazioni appariscenti e blindate da telecamere e agenti di sicurezza, e anche di vita da media borghesia, con i riti dei pellegrinaggi ai centri commerciali e i picnic nei luoghi più noti e frequentati.

La città si svuota nei weekend, perché molti abitanti provengono da altre zone della Serbia, dove ancora hanno le proprietà dei loro avi, o piccole casette nella Natura, chiamate “vikendice”.

Piano, piano, ogni angolo del centro città è stato ripulito, sistemato e occupato da negozi, locali e appartamenti più consoni al nuovo status. Intere frange di popolazione si sono dovute spostare in zone più discoste, perché non più in grado di far fronte ai costi dell’affitto e della vita in centro città. Attorno a Belgrado stanno nascendo interi quartieri di edilizia popolare, zone industriali e grandissimi capannoni dedicati alla logistica, in parole povere: allo spostamento di merci.

Questa volta, abbiamo cercato di ridurre al minimo la durata della sosta, perché il nostro camper e il nostro Numi non amano la vita di città. Per la prima notte, abbiamo trovato posto vicino a un impianto sportivo, che abbiamo scoperto essere un luogo per concerti rock e sgommate di moto, anche di notte, e in seguito in una viuzza tranquillissima, all’ombra di un bell’albero di fichi. Dopo le visite programmate a parenti e amici, abbiamo ripreso lesti la strada diretti a Fruška Gora, il parco nazionale nelle vicinanze di Novi Sad. Ancora a nord, verso il rientro in Ticino.

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