posti e persone

Il fuoco di Evia

Il nostro viaggio verso Evia, la grande isola a est di Atene, si è svolto molto piacevolmente, lungo strade che si snodavano in saliscendi sui rilievi. I paesaggi si alternavano tra boschi dai colori di inizio autunno e terreni sassosi e aridi, punteggiati da coriacei arbusti sempreverdi.

Siamo così scesi al calmo villaggio di Nies, incastonato in una baia su cui si affaccia un anfiteatro di colline coltivate a uliveto. Il posto era un incanto e con un effetto molto scenografico: proprio di fronte a noi si trovavano le rovine di una grande casa di pescatori che si specchiava nell’acqua. Abbiamo sistemato Rocco tra gli ulivi e siamo rimasti seduti sulla riva sassosa, in ammirazione delle acque quiete e dello stormire di rami e canneti, agitati da un venticello fresco. La calma ci aveva conquistati e abbiamo passato un paio di giorni davvero meditativi e silenziosi.

La nostra alimentazione a sola frutta e noci ci offre molta libertà. Facciamo ricche spese di frutta ogni 3-4 giorni e non abbiamo bisogno del frigorifero o dei fornelli. I pannelli solari ci riforniscono di corrente elettrica e il tank dell’acqua ci assicura la scorta d’acqua necessaria per quasi una settimana. In questo modo, quando un luogo ci attrae, ci fermiamo a goderlo senza pensieri.

Scendendo più a sud abbiamo fatto tappa al simpatico camping Venezuela, pieno di alberi e siepi ben curate. Ne abbiamo approfittato per una giornata di pulizie profonde: lunghe docce con acqua calda, bucato e pulizia accurata del camper. Ne avevamo tutti un urgente bisogno!

Ed ecco che, lindi e lustri, eravamo nuovamente pronti per continuare il viaggio verso Evia. Sul percorso siamo riusciti, a fare i nostri acquisti in un mercato di un paesino, all’ultimo minuto prima della chiusura, ricevendo anche in regalo un paio di deliziose piccole angurie. A noi due, unici forestieri in mezzo a quel mercatello, con i venditori che riponevano le merci nei furgoni, le casse che sparavano una musica orientaleggiante, il vento teso che sbatteva carte e plastiche dappertutto, i mulinelli di polvere dalla strada sterrata, gli zingari che si aggiravano con i loro bambini per raccogliere gli ortaggi e la frutta rimasta invenduta, mentre gli operai comunali già sgomberavano i rifiuti e un camion iniziava a ripulire gli spazi con le sue spazzole rotanti, pareva una scena da film.

Evia, la sesta isola più grande del Mediterraneo, nel suo punto più vicino dista solo 40 metri dalla terraferma, a cui è collegata da un ponte proprio all’ingresso della città di Chalcis, Calcida. Una volta imboccata la strada verso il ponte, perennemente intasata, non ci siamo nemmeno accorti di averlo attraversato. La città ci ha accolto con un un traffico caotico, in cui c’è voluta la massima attenzione nella guida per non sbattere contro le innumerevoli auto parcheggiate con grande libertà in ogni angolo, senza dimenticare di schivare le moto e i motorini che sbucavano da ogni dove, superando da destra e da sinistra. Abbiamo subito preso l’unica strada che si collega alla parte nord ovest dell’isola e all’imbrunire abbiamo trovato un comodo posto per la notte, sotto grandi platani lungo il letto di un fiume in secca.

La mattina dopo abbiamo ripreso la strada, tra boschi e campagne, alture e discese tortuose. Ad un certo punto, abbiamo visto i segni di un recente incendio che sembrava aver arso un’intera collina. Ma quello era solo un assaggio di quello che avremo incontrato più oltre.

Nell’estate dell’anno scorso le temperature in Grecia avevano toccato i massimi storici, arrivando fino a oltre i 47 gradi. In parecchie zone si erano sviluppati violenti incendi, molti dei quali provocati per incuria o per dolo. Uno di questi aveva attaccato proprio il nord ovest di Evia, bruciando 125.000 ettari di bosco, comprese case, stalle e installazioni, scendendo fino alle spiagge. Una superficie grande quasi come la metà del Cantone Ticino.

Abbiamo attraversato chilometri e chilometri tra i resti di alberi maestosi ridotti a mozziconi anneriti o con gli scheletri delle chiome pietrificati dalla vampa del calore. I boschi, composti principalmente da pini marittimi, ricchi di resina e di sottobosco di aghi, hanno bruciato come torce. Uno spettacolo desolante. Nemmeno il sole che splendeva allegro riusciva a diminuire il nostro sgomento davanti a tale spettacolo. Occorreranno decine di anni per far rivivere quei paesaggi, anche se già si nota che la Natura, che non ama lasciare alcuno spazio vuoto, fa spuntare erbe e piccoli arbusti tra le ceneri. Un piccolo, verde segnale di vita e di speranza in mezzo alla devastazione.

Infine, abbiamo adocchiato una spiaggia risparmiata dalle fiamme che offriva un comodo riparo sotto i pini per il camper e un accesso al mare diretto. La giornata era splendida, con un bel sole caldo, e ci siamo fermati a fare il bagno nelle acque cristalline. Passeremo qui qualche giorno, prima di raggiungere Loutra Aidipsos, dove si trova un complesso termale che risale all’epoca romana e un mercato di produttori locali, indispensabile per il rifornimento di frutta: le nostre scorte stanno inesorabilmente terminando.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *