Attraversare i confini
Il confine rappresenta un limite, un limite al movimento del corpo e dello spirito. Da una parte del confine c’è quello che conosciamo, il nostro mondo, e dall’altra l’ignoto, la diversità. È per questo motivo che restare nei propri confini piace a moltissime persone: evita l’ansia dello sconosciuto e offre un senso di sicurezza.
Viaggiare, invece, richiede di superare i confini, uno dopo l’altro, provocando l’inquietudine di non sapere e di non avere il controllo della situazione e allo stesso tempo rendendo la vita vibrante di incontri e di avventure.
Una volta venuto il momento di lasciare l’Albania alla volta della Serbia, abbiamo scelto di passare attraverso il Kosovo senza fare il test PCR. Da varie fonti ci erano arrivati riscontri molto discordanti in merito alle norme vigenti per il passaggio delle frontiere e così abbiamo deciso di recarci al confine per verificare di persona.
Man mano che ci avvicinavamo al confine kosovaro, sentivamo crescere una certa inquietudine. E se non ci avessero fatto passare? Per tranquillizzarci, abbiamo fatto un’ultima tappa a Kukës, una cittadina sulle montagne albanesi. Ci avevano suggerito di fare attenzione ai furti in quella zona e invece abbiamo fatto amicizia con un giovane padre di famiglia che ci ha fatto posteggiare di fronte al suo negozio e ci ha consigliato un ristorante dove ci hanno accolto con molta simpatia, servendoci un pranzo luculliano. Ci siamo detti che se non fossimo riusciti a passare in Kosovo, saremmo restati in Albania, dove abbiamo incontrato tante belle persone e visitato luoghi incantevoli.
Siamo ripartiti ricaricati e fiduciosi. Avevamo chiesto ai nostri amici vicini e lontani di mandarci buoni intenti e pure noi eravamo focalizzati su vibrazioni positive di amore, gioia e gratitudine.
Con questa preparazione, alla frontiera kosovara siamo capitati su una doganiera severissima, una specie di donna-mastino. Dopo un controllo dei passaporti, ci ha chiesto se avessimo il test o la vaccinazione e abbiamo risposto di no. Scandalizzata, ci ha fatto una ramanzina con i fiocchi: “Ma come, non sapete che la Svizzera li richiede a noi kosovari, e adesso vi aspettate che noi non lo facciamo con voi?” Ci siamo mantenuti positivi al massimo e abbiamo risposto che volevamo solo attraversare il paese, per tornare in Svizzera. A quel punto, la doganiera si è calmata, ci ha fatto sostare lì vicino e ha fatto preparare un permesso di transito, concedendoci tre ore per attraversare il Kosovo, non un minuto di più.
Sollevati dal fatto che non abbia insistito ulteriormente sul test, abbiamo ripreso i nostri documenti, abbiamo abbandonato la nostra idea di visitare un importante monastero ortodosso della zona e siamo filati dritti verso la Serbia.
In poco meno di tre ore, arrivati alla successiva frontiera, abbiamo consegnato i nostri passaporti con i permessi di transito alle guardie kosovare, e poi le nostre carte di identità a quelle serbe. Già, perché la Serbia non riconosce il Kosovo come Stato, non accetta il timbro kosovaro sul passaporto e non permette di entrare. Invece, con la carta di identità il problema non si pone e si passa.
Nessuno ci ha chiesto altro. Una simpatica guardia di confine serba ha voluto dare giusto un’occhiata all’interno di Rocco, dicendoci che eravamo fortunati a vivere questa vita e congedandoci. Dopo poche decine di metri dal confine, Nat e io siamo scoppiati in un urlo di felicità. Eravamo arrivati in Serbia senza troppi intoppi, che gioia!
Cavalcando quest’onda di entusiamo, ci siamo inoltrati tra le verdissime colline serbe, fino a Prokuplje. Volevamo procurarci una nuova SIM serba e abbiamo posteggiato davanti a un negozio di materiali per pittori, proprio sulla strada principale. Ne è uscita una cordiale signora, tutta sorrisi e gentilezza. Le abbiamo chiesto se potevamo lasciare lì il nostro camper e cinque minuti dopo, stavamo già raccontandoci le nostre vite, all’interno del nostro Rocco. Insomma, avevamo trovato una nuova amica.
Dopo una passeggiata fino al centro cittadino per un paio di compere, era arrivato il momento di trovare un posto per dormire, non troppo lontano, dato che il giorno dopo, sabato, ci sarebbe stato il mercato principale del paese. Ci siamo infilati in una strada secondaria e abbiamo identificato un invitante spiazzetto erboso accanto a una casa.
Ci siamo fermati e abbiamo chiesto al proprietario, che ci stava guardando al di là della staccionata, se potessimo fermarci lì per la notte. Non solo ci ha dato il permesso: ci ha anche invitati da lui per berci un grappino serbo, chiamato comunemente rakia e abbiamo passato un bel momento a chiacchierare e ad ascoltare la sua storia quando ancora lavorava come professore di francese. In segno di amicizia Nat gli ha regalato due libri di poesia francese e alla fine, stanchi morti, ci siamo ritirati a dormire nella calma stradina. Non volevamo perderci il mercato alle prime ore del mattino, quando la merce è più fresca e abbondante.
Carissimi Nat e Kut
Ogni tanto do una sbirciatina al vostro meraviglioso blog e ogni volta ne resto stupefatta. A quante avventure si rinuncia restando nel proprio spazio! Voi non avete scelto una vacanza , ma avete abbracciato uno stile di vita che ammiro tanto . Quante belle storie e incontri !!
Questa vita. Vita pura.
Un abbraccio ad entrambi
Cara Mina,
che bello sentirti vicina con la tua attenzione! Grazie per le tue belle parole.
Un grande abbraccio! Nat e Kut (ora Francesco)